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Gli studi anatomici a Perugia ricevettero un notevole impulso a partire dal 1802 grazie all’istituzione dell’Accademia anatomico-chirurgica, i cui fautori furono il delegato apostolico Agostino Rivarola e il professore di medicina pratica Luigi Pacifico Pascucci. L’Accademia, che ebbe sede nell’ospedale e un’amministrazione separata da quella universitaria, fu dotata di un teatro anatomico per le dissezioni dei cadaveri e per le esperienze di anatomia umana normale e patologica. Direttore e preparatore anatomico dell’Accademia fu, fin dai primi anni, il chirurgo Goffredo Belisari che viene reputato l’iniziatore dell’anatomia umana pratica a Perugia e il formatore del primo nucleo di preparazioni annesse al teatro anatomico.  

Nel 1810 l’insegnamentoanatomico venne trasferito, insieme agli altri insegnamenti medici, dalla vecchia sede universitaria del Sopramuro nella nuova sede di Monte Morcino. La distanza della nuova sede dal teatro anatomico e dalle sale settorie dell’ospedale rese necessario per l’Università dotarsi nel 1814, su proposta di Cesare Massari e Goffredo Belisari, «di quegli oggetti che servir possono all’istruzione» tra cui le «preparazioni in cera pel Gabinetto anatomico da formarsi». Fu questo l’atto di fondazione del gabinetto anatomico, il primo gabinetto medico nella storia dell’Ateneo. L’istituzione del gabinetto aveva richiesto la soluzione di due ordini di problemi: quelli finanziari che furono risolti con un apposito stanziamento, e quelli relativi alla scelta della tipologia dei pezzi da acquisire o preparare. Per formare un gabinetto anatomico all’inizio del XIX secolo si potevano infatti seguire due vie: quella dell’anatomia artificiale e quella dell’anatomia naturale. La prima consisteva nel rappresentare il corpo con sculture in gesso, terracotta e cera, e fu seguita da Bologna e Firenze, la seconda, preferita a Pavia, si poneva lo scopo di «presentare piuttosto la natura, anziché un’imitazione fatta dall’arte», cioè di utilizzare parti di cadaveri in secco e sotto liquido per la formazione delle collezioni.

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Alla fine del 1814, l’Università di Perugia si rivolse al ceroplasta Calenzuoli in Firenze, con cui venne stilato un contratto per la fornitura di manufatti in cera. Firmatari del contratto furono lo stesso Calenzuoli e Francesco Righetti, un medico fiorentino che, insieme a Filippo Uccelli, mediò i rapporti tra il ceroplasta e l’Ateneo perugino. Gli articoli del contratto prevedevano la realizzazione di una Venere smontabile, di cinque tavole con i sensi della vista, dell’udito, dell’odorato, del gusto e voce, del tatto, di una tavola con il cervello e cervelletto e di due tavole con le parti genitali maschili e femminili. Per ogni preparato il contratto riportava dettagliatamente le caratteristiche richieste, a dimostrazione della realizzazione su misura delle cere. Il prezzo delle cere venne fissato in dieci zecchini per le tavolette e in cento zecchini per la Venere. Nel novembre del 1816 il «convoglio» delle cere sistemate in casse provvisorie partì da Firenze. Arrivate a Perugia, le tavole più piccole furono sistemate in «8 urne […] di noce lustre secondo il costume» poggiate su quattro tavolini marmorizzati e la Venere in un «un letto a urna lavorato come sopra», con la testa poggiata su di un cuscino e un guanciale ricoperti di seta turchina. L’allestimento finale della Venere fu una singolare dimostrazione della cura nel reperire i materiali: dall’Oriente proveniva il manto in tessuto levantino color perla che pudicamente ricopriva la statua; dalla Francia la frangia d’oro del manto; dalla Boemia i cristalli delle urne; da Milano i «Capelli e fattura della parrucha con la divisa sul fronte». Le cere erano corredate inoltre di un apparato esplicativo composto da diciannove disegni anatomici realizzati da Ferdinando Moretti e da altrettante spiegazioni scritte dal calligrafo Gaetano Giarrè.

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Nel 1831, dopo venti anni di servizio, Cesare Massari veniva allontanato dalla cattedra di anatomia e fisiologia per motivi politici; nello stesso anno la cattedra e la direzione del gabinetto passarono ad Alessandro Ferroni, che prese a cuore le sorti del gabinetto e cercò di incrementarlo.

Ferroni collocò nel gabinetto una sua preparazione «dei vasi sanguigni al naturale», che può ritenersi il primo preparato di anatomia naturale del gabinetto anatomico. Presentò poi nel 1840 un progetto in cui, rinunciando a parte dello stipendio, proponeva l’acquisto di altre cere e la realizzazione di preparati anatomici, per cui vennero acquistati gli «istrumenti indispensabili per le dissezioni, e per le iniezioni». Il programma di Ferroni venne approvato dal cardinale Luigi Lambruschini, ma nel 1841 sopraggiunse la morte del docente a impedirne l’attuazione. La proposta era comunque indicativa di un rinnovato interesse per l’anatomia naturale, generato da un miglioramento delle tecniche di dissezione e conservazione.

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Con Pasquale Bochi, successore di Ferroni alla cattedra, la preferenza per i preparati di anatomia naturale diventò ancora più netta. Bochi fece presente che le cere non erano «fedelissime e minute» come i campioni naturali e che non si potevano maneggiare d’inverno perché fragili e d’estate perché «rese molli dal calore» e aggiungeva: «la natura debbe studiarsi senza trasformazioni a fine di conoscerla al vero […] Le preparazioni in cera si riguardano al presente come oggetti di lusso, e non d’utile reale». Nel 1844 depositò le prime preparazioni di anatomia umana normale, patologica e di anatomia comparata all’interno del gabinetto, ma nel 1845 la sua morte impedì, nuovamente, il miglioramento del gabinetto.

Nello stesso anno venne indetto il concorso per la cattedra di anatomia e fisiologia di cui fu vincitore Vincenzo Santi. Col nuovo docente l’insegnamento anatomico, che dall’inizio del secolo era stato tenuto da medici moderni, tornò nei binari della tradizione. L’attività di ricerca di Santi, caratterizzata dalla predilezione per la filosofia scolastica e dall’avversione per il materialismo e l’evoluzionismo, rimane esemplificativa della distanza ormai incolmabile che divideva la scienza gradita alle gerarchie ecclesiastiche dalla scienza medica moderna.

Indetto nuovamente un concorso nel 1864, risultò vincitore della cattedra di anatomia Elia Mortara. La scelta di Mortara si rivelò particolarmente felice, in quanto il nuovo docente si era perfezionato nell’Istituto di studi superiori di Firenze, sotto la guida di uno dei maggiori anatomisti dell’Ottocento, Filippo Pacini, di cui era stato aiuto dissettore e assistente.

In pochi mesi dal suo arrivo a Perugia, Mortara mise in atto le competenze acquisite a Firenze, tanto da meritare l’elogio del sindaco e della giunta «per l’impegno e molta capacità» infusi «nell’attuazione del nuovo Gabinetto» che il docente andava formando ex-novo nella sede dell’ospedale. Nell’Ateneo rimaneva il vecchio gabinetto, lasciato immutato da Santi, che conteneva ancora le cere anatomiche, il preparato dei vasi sanguigni del Ferroni, un cranio “esploso” proveniente da Parigi, le tavole dell’Anatomia universa di Mascagni alle pareti, e i pochi preparati di Bochi. Nel 1869, su proposta di Mortara, i due gabinetti vennero riunificati lasciando nella sede centrale i preparati di anatomia comparata. Nel 1872 Mortara stilò un elenco dei preparati che ascendevano al numero di cinquecentoventinove ed erano suddivisi nelle seguenti classi: osteologia (duecentoventi); legamenti (quarantadue); miologia e aponeurosi (diciassette); angiologia (ventiquattro); neurologia (tredici); splancnologia (cinquantanove); embriologia (sedici); teratologia (dieci); osteologia comparata (ventitré) e anatomia patologica (centocinquantasette).

Dopo il decesso di Mortara, la cattedra di anatomia venne assegnata nel 1886 a Pilade Lachi. Al pari del predecessore, anche Lachi contava nel suo curriculum l’attività di settore che aveva svolto nell’Ateneo senese sotto la direzione di Guglielmo Romiti. Nella sua attività scientifica e in quelle del suo successore Valenti, anche lui allievo di Romiti, si ritrova la nuova impostazione multidisciplinare che il docente livornese conferì agli studi anatomici a Siena e a Pisa, intesa a integrare l’anatomia con l’istologia, l’embriologia, l’anatomia comparata e la fisiologia. Nel 1887, un anno dopo il suo arrivo a Perugia, Lachi descrisse al rettore gli aumenti nelle collezioni anatomiche: «furono eseguiti e messi nel museo non meno di cento preparati di anatomia grossolana, fra i quali più specialmente le segnalo venti preparati di sistema nervoso col sistema di conservazione Giacomini. Gli altri riguardano la osteologia, la artrologia e l’angiologia […] poi si stanno facendo vari preparativi di sistema nervoso periferico che dovranno essere conservati nell’alcool». Tra i preparati di Lachi si distinse la raccolta osteologica illustrante le varie fasi dello sviluppo delle ossa, dal secondo mese di vita intrauterina fino all’età adulta, collezione analoga a quella che egli aveva realizzato a Siena qualche anno addietro.

Nel 1897 la cattedra e la direzione del gabinetto passarono a Umberto Rossi. Il museo, notevolmente arricchito, fu dotato di apparecchiature per la ricerca istologica e microfotografica «che può dirsi bastevole alle più svariate ricerche»206. Questi miglioramenti dimostrano come Rossi sviluppò, oltre all’anatomia generale, gli altri indirizzi di ricerca dei docenti che lo avevano preceduto, dall’istologia, all’embriologia comparata, all’antropologia.

Strettamente associate alle ricerche istologiche furono le ricerche di embriologia microscopica. L’embriologia, che condivideva con l’istologia parte della strumentazione220, potè definirsi scientifica dagli anni venti del XIX secolo, grazie agli studi sui foglietti embrionali svolti da Von Pander. L’impulso maggiore agli studi embriologici fu dato comunque dalla diffusione dell’evoluzionismo, con cui si asserì che le disposizioni embrionali iniziali erano comuni in tutti i vertebrati. A partire dalla gestione di Pilade Lachi nei documenti contabili e nei preparati microscopici dell’istoteca cominciarono a comparire embrioni di tutte le classi di vertebrati: pesci, come gli embrioni di Torpedo ocellata spediti a più riprese dalla Stazione zoologica di Napoli; anfibi sotto forma di uova di rane e rospi e di esemplari di Salamandrina perspicillata; rettili come uova di lucertole; uccelli sotto forma di centinaia di uova di gallina “gallate”e mammiferi, i più rappresentati, come uteri di almeno dieci specie.

Gli sviluppi dell’embriologia furono illustrati anche a lezione: dal 1887 Pilade Lachi tenne prolusioni di «anatomia topografica ed embriologia»; nel 1889 lo stesso Lachi acquistò per scopi didattici dodici modelli embrionali in cera fabbricati da Adolf Ziegler in collaborazione con l’embriologo Wilhelm His; negli anni successivi Giulio Valenti istituì un corso libero di «embriologia applicata alle scienze Mediche». Grazie alle ricerche embriologiche l’evoluzionismo aveva quindi trovato tra gli anatomisti un favore incondizionato, attestato anche dalla sostanziosa presenza di monografie acquistate da Valenti e Rossi per la biblioteca dell’istituto.

Il terzo indirizzo di ricerca dei docenti nell’Ottocento, quello antropologico, presenta le implicazioni culturali e sociali più interessanti. L’antropologia e la craniologia si erano gradualmente configurate come discipline scientifiche, tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo, con l’introduzione di misurazioni sperimentali delle ossa, quali l’angolo facciale e gli indici cefalici. Le misurazioni delle ossa furono utilizzate dapprima per ricostruire «una storia dell’uomo biologico e delle sue culture ». Con l’emergere dei nazionalismi, l’antropologia e la craniologia diventarono, attraverso il determinismo anatomico, uno strumento per convalidare una visione gerarchica delle razze umane e delle classi sociali.

Il primo professore dell’Ateneo con interessi antropologici fu il fisiologo Francesco Bonucci che pubblicò nel 1866 il piccolo trattato Principi di antropologia o di fisiologia morale dell’uomo. Tra i primi reperti di interesse antropologico si ricorda poi un cranio frenologico conservato nelle collezioni anatomiche. Branca pseudoscientifica della craniologia, la frenologia ipotizzava una precisa localizzazione anatomica di funzioni cerebrali come l’intelligenza, la personalità, l’aggressività, ecc.; fondata da Gall e sviluppata da Spurzheim, cui si riferisce il cranio perugino, la frenologia fu gradualmente abbandonata nel corso del XIX secolo. Nel 1875 studi di frenologia erano svolti dal direttore del Manicomio di Perugia, Roberto Adriani, che espresse al rettore e a Elia Mortara la volontà di osservare la testa di un decapitato. A Mortara va poi fatta risalire la prima collezione sistematica di crani: si tratta di venti crani etruschi raccolti durante la sua permanenza a Perugia, per ricerche assimilabili a quelle di Calori e di Garbiglietti sulla conformazione cranica delle antiche popolazioni. Un rapido sviluppo delle ricerche antropologiche si ebbe in seguito alla pubblicazione de L’uomo delinquente di Cesare Lombroso nel 1876.

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Lombroso illustrò nella monografia il fenomeno dell’atavismo, un impulso primordiale che induceva al delitto e che poteva essere ricondotto ad alcune caratteristiche fisiologiche, morfologiche e comportamentali. Le nuove teorie lombrosiane si diffusero rapidamente, come dimostra una lettera del Ministero dell’istruzione pubblica al rettore, in cui si concesse all’Università l’uso di cadaveri di condannati, a patto di compilare una scheda con le anomalie antropologiche. Nel 1887 Pilade Lachi informò il rettore della preparazione di «11 cervelli di delinquenti» condannati per furto, omicidio, falsa testimonianza, falso con truffa, infanticidio, stupro, minacce di ribellione: fu questo l’esordio a Perugia delle ricerche di antropologia criminale che continuarono per decenni in quasi tutti gli atenei italiani, finché non venne dimostrata la totale infondatezza delle teorie lombrosiane. Le ricerche sulla conformazione dei crani e dei cervelli continuarono a Perugia fino agli anni venti del XX secolo, come comprovano i documenti contabili e la cospicua raccolta di crani e cervelli preparati col metodo Giacomini. Alla collezione craniologica Umberto Rossi aggiunse una raccolta di tatuaggi sotto liquido e delle diapositive di individui tatuati da proiettare a lezione. Considerata la diffusione odierna della pratica del tatuaggio è interessante ricordare quanto le teorie dell’antropologia criminale considerassero questa pratica così legata alla delinquenza da segnalarla «agli amministratori della legge» tra «i metodi nuovi e più certi nella scoperta del colpevole».